giovedì 9 gennaio 2014

Il protezionismo svedese sull’alcool: una soluzione che peggiora il problema


Esercizio di immaginazione: sono le cinque di un sabato pomeriggio e siete nella capitale di uno dei più ricchi paesi occidentali. La sera avete in programma una cena da amici, e volete portare una bottiglia di vino. Per fare ciò, però, siete costretti a dirigervi nel retrobottega di un negozio dove il losco proprietario tiene ammucchiate casse di alcolici di ogni genere, che vende di contrabbando. Dopo aver girato tra gli scatoloni, prendete una bottiglia di vino, pagate e uscite senza dare nell’occhio.
Domanda: Avete risposto “nell’America ai tempi del proibizionismo”? Può anche darsi. Ma è quello che potrebbe succedervi anche oggi stesso a Stoccolma e in ogni altra città della Svezia. Quello tra gli svedesi e l’alcool è sempre stato un rapporto tormentato. Che i nordici bevano parecchio non è una novità, e proprio per contrastare gli effetti del bere il Governo svedese decise, agli inizi del ‘900, di assumere il controllo capillare della distribuzione di bevande alcoliche. Un monopolio che dura fino a oggi. In realtà, i supermercati possono vendere “liberamente” birre e alcolici… A patto che non superino i 3,5° di volume. Il che, come può facilmente capire chiunque non sia astemio, significa non poter vendere nient’altro che birre annacquate.
Per acquistare bevande con una gradazione superiore, invece, bisogna recarsi nei Systembolaget, supermercati aventi l’esclusiva funzione di vendere alcolici e gestiti direttamente dallo Stato. E che, quindi, vendono solo ciò che lo Stato decide di vendere, nei giorni e negli orari in cui lo vuole vendere (non dopo le 15 di sabato né di domenica, per esempio). I Systembolaget, inoltre, sono solo 418 in tutto il territorio svedese (uno ogni 22.000 abitanti), in ottica evidentemente dissuasiva. E sempre per disincentivare l’acquisto di alcolici al loro interno sono vietate le pubblicità dei marchi e le offerte speciali. Si aggiunge a tutto ciò, in un tristemente coerente pendant, un’elevatissima pressione fiscale. L’aliquota sugli alcolici dipende dalla gradazione: la vodka, per esempio, è tassata al 40%; il vino al 14%; la birra “solo” al 4.5%. Ma non è finita: questa imposta si cumula all’applicazione della VAT (l’equivalente dell’IVA), che è del 12% per le bevande con gradazione al di sotto dei 3.5° e del 25% per quelli con gradazione superiore. Fino al 2007 era riservata al monopolio statale anche l’importazione di bevande alcoliche: se un cittadino avesse voluto importare privatamente del vino italiano, avrebbe dovuto rivolgersi alla Systembolaget (che tratteneva il 17% del prezzo), finché una sentenza della Corte di Giustizia Europea ha dichiarato la normativa in contrasto con il principio della libera circolazione delle merci all’interno dell’UE.

La prima considerazione che mi sembra opportuno fare su questo sistema proibizionista è di carattere psicologico: scoraggiare l’acquisto di alcool con metodi repressivi, invece che educativi, alimenta la percezione che si tratti di un prodotto eversivo, attirando così l’attenzione dei più giovani, notoriamente attratti da comportamenti borderline che li aiutino ad affermarsi ed emanciparsi. Con due ovvie conseguenze: innanzitutto, potendo acquistare alcolici solo fino a una cert’ora e in un solo luogo, la tendenza è quella di comprarne (e, di conseguenza, consumarne) più del necessario. In secondo luogo tutte queste restrizioni, unite a prezzi così elevati, favoriscono la formazione del mercato nero.
Gli effetti economici, poi, sono drammatici: il monopolio statale annichilisce la concorrenza, sprecando enormi opportunità imprenditoriali e sacrificando numerosi posti di lavoro potenziali.
Come sempre in questi casi a farne le spese sono soprattutto i consumatori, in particolare quelli meno abbienti (che, tra l’altro, saranno istintivamente portati a percepire l’alcool come un bene di lusso, e come tale ad esserne attratti).

Basta passare un weekend a Malmö per rendersi conto di quanti siano gli svedesi che prendono il traghetto fino in Germania e tornano con la macchina strapiena di scorte. E lo stesso accade ai confini con la Danimarca e la Finlandia. Si potrebbe pensare che, quanto meno, il consumo di alcool si sia ridotto grazie a queste politiche. E invece è aumentato del 30% dal 1995 al 2005, con una (seppur lieve) diminuzione negli ultimi 8-10 anni, cioè proprio da quando la Svezia ha aperto le frontiere all’importazione. Una coincidenza? Piuttosto l’ennesima dimostrazione dell’assoluta inefficacia dei sistemi monopolistici, in particolare laddove ci siano in ballo questioni etiche. Il punto è che il consumo di alcool è connaturato alla società occidentale, piaccia o meno. 
källa: G.L.Mannheimer
E l’unica strada per limitarne abusi e conseguenze problematiche è di natura culturale: libertà e consapevolezza, unite, possono fare molto più della repressione. Evitando che gli svedesi si trovino costretti a dover trattare con l’Al Capone di turno per poter comprare una bottiglia di vino il sabato pomeriggio.



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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.