venerdì 29 aprile 2016

"Un figlio di foca," che non stringe la mano alle donne.


Quando nel 1988 per la prima volta i Verdi sbarcarono al Parlamento svedese vennero chiamati:
 “i figli della foca”. Perché senza la moria nel Baltico, difficilmente avrebbero strappato venti seggi. 
Da allora, i Verdi si sono fregiati di aver saputo creare un ambiente “in cui l’uomo trova il suo posto”. Ma all’ecologismo hanno sempre affiancato battaglie politiche. Durante la Guerra Fredda fu il pacifismo: “Come parlare di ecologia senza parlare del Vietnam?”, dicevano. Oggi sono gli immigrati e il multiculturalismo. Ma forse si sono lasciati un po’ prendere la mano. 
Perchè è propio in Svezia patria dell`uguaglianza dei sessi che si rifiutano di stringere la mano alle donne perchè "impure." Lui si chiama Yasri Khan ed è candidato a un posto nel direttivo politico dei Verdi e già presidente della organizzazione svedese Muslims for Peace and Justice, è lui che ha rifiutato di stringere la mano a una giornalista, in ottemperanza alla sharia, la legge islamica.
È dovuto intervenire anche il premier, Stefan Lofven, che già deve gestire l’ingresso di 250 mila migranti in un paese di dieci milioni di persone, a ricordargli che “in Svezia la mano si stringe ad uomini e donne”.
Secondo numerosi sondaggi, il 65 per cento degli svedesi vuole adesso che i Verdi, i più accesi fautori delle frontiere aperte, siano cacciati dalla coalizione al potere. “Nel nostro desiderio di abbracciare una società pluralistica e multiculturale, abbiamo chiuso un occhio sui punti di vista non democratici”, ha detto Gulan Avci, esponente dei liberali all’opposizione. Nel cercare di raffreddare gli animi, la leader del Partito dei Verdi, Asa Romson, che è anche vice premier, ha fatto peggio e in un’intervista televisiva ha descritto gli attacchi dell’11 settembre come “incidenti”. Ha poi chiarito che condannava ovviamente gli attacchi che costarono tremila vite in America. Ci si è poi messo il fondatore dei Verdi, Per Gahrton, il quale ha detto che l’ex ministro Kaplan è stato vittima di una caccia alle streghe ordita da Israele. Gahrton è stato il presidente della Palestine Solidarity Association per dieci anni.
Ma non finisce qui. Nuove immagini sono emerse in cui Kaplan e gli altri membri musulmani dei Verdi sono ripresi con le quattro dita alzate, il gesto utilizzato dai Fratelli musulmani in Egitto. Uno di loro, il giovane leader dei Verdi Salahaden Raoof, ha ripetuto il gesto durante una trasmissione sulla televisione svedese. Le quattro dita alzate al cielo fanno riferimento alla moschea di Rabaa, al Cairo: Rabaa, che in arabo significa proprio “quattro”, è dove si realizzò il sit-in più grande della capitale a opera dei Fratelli musulmani, dopo la deposizione di Mohammed Morsi. Il gesto non è illegale in Svezia, ma molti membri del partito mettono ora in dubbio il fatto che esponenti della Fratellanza musulmana siano compatibili con la piattaforma femminista e gay friendly dei Verdi svedesi. Durante la Guerra fredda, i sovietici si approfittarono della celebre neutralità svedese, con il suo rifiuto del bipolarismo Stati Uniti-Urss, il rapido riconoscimento della Cina di Mao, la sospensione dei rapporti con l’America dopo il bombardamento sul Nord Vietnam, il disarmo nucleare predicato da Olof Palme, il socialismo welfarista, il “non allineamento”, insomma il disimpegno svedese da Trelleborg ai confini estremi della Lapponia. Una neutralità fragile e ambigua che ora sembra tingersi di verde: il colore dell’islam.
Comunque due alti funzionari dei Verdi, Jon Karlfeld e Anders Wallner, hanno dichiarato che “anche se a oggi non vi sono indicazioni di un’infiltrazione, il Partito dei Verdi andrà avanti e indagherà la potenziale vulnerabilità”. (Speriamo bene…!!)
(diversekällor)


martedì 26 aprile 2016

A proposito da alcolici in Svezia



Esercizio di immaginazione: sono le cinque di un sabato pomeriggio e siete nella capitale di uno dei più ricchi paesi occidentali. La sera avete in programma una cena da amici, e volete portare una bottiglia di vino. Per fare ciò, però, siete costretti a dirigervi nel retrobottega di un negozio dove il losco proprietario tiene ammucchiate casse di alcolici di ogni genere, che vende di contrabbando. Dopo aver girato tra gli scatoloni, prendete una bottiglia di vino, pagate e uscite senza dare nell’occhio. Domanda: dove vi trovate?
Avete risposto “nell’America ai tempi del proibizionismo”? Può anche darsi. Ma è quello che potrebbe succedervi anche oggi stesso a Stoccolma e in ogni altra città della Svezia.
Quello tra gli svedesi e l’alcool è sempre stato un rapporto tormentato. Che i nordici bevano parecchio non è una novità, e proprio per contrastare gli effetti del bere il Governo svedese decise, agli inizi del ‘900, di assumere il controllo capillare della distribuzione di bevande alcoliche. Un monopolio che dura fino a oggi. In realtà, i supermercati possono vendere “liberamente” birre e alcolici… A patto che non superino i 3,5° di volume. Il che, come può facilmente capire chiunque non sia astemio, significa non poter vendere nient’altro che birre annacquate.

Per acquistare bevande con una gradazione superiore, invece, bisogna recarsi nei Systembolaget, supermercati aventi l’esclusiva funzione di vendere alcolici e gestiti direttamente dallo Stato. E che, quindi, vendono solo ciò che lo Stato decide di vendere, nei giorni e negli orari in cui lo vuole vendere (non dopo le 15 di sabato né di domenica, per esempio). I Systembolaget, inoltre, sono solo 418 in tutto il territorio svedese (uno ogni 22.000 abitanti), in ottica evidentemente dissuasiva. E sempre per disincentivare l’acquisto di alcolici al loro interno sono vietate le pubblicità dei marchi e le offerte speciali.
Si aggiunge a tutto ciò, in un tristemente coerente pendant, un’elevatissima pressione fiscale. L’aliquota sugli alcolici dipende dalla gradazione: la vodka, per esempio, è tassata al 40%; il vino al 14%; la birra “solo” al 4.5%. Ma non è finita: questa imposta si cumula all’applicazione della VAT (l’equivalente dell’IVA), che è del 12% per le bevande con gradazione al di sotto dei 3.5° e del 25% per quelli con gradazione superiore. Fino al 2007 era riservata al monopolio statale anche l’importazione di bevande alcoliche: se un cittadino avesse voluto importare privatamente del vino italiano, avrebbe dovuto rivolgersi alla Systembolaget (che tratteneva il 17% del prezzo), finché una sentenza della Corte di Giustizia Europea ha dichiarato la normativa in contrasto con il principio della libera circolazione delle merci all’interno dell’UE.
La prima considerazione che mi sembra opportuno fare su questo sistema proibizionista è di carattere psicologico: scoraggiare l’acquisto di alcool con metodi repressivi, invece che educativi, alimenta la percezione che si tratti di un prodotto eversivo, attirando così l’attenzione dei più giovani, notoriamente attratti da comportamenti borderline che li aiutino ad affermarsi ed emanciparsi. Con due ovvie conseguenze: innanzitutto, potendo acquistare alcolici solo fino a una cert’ora e in un solo luogo, la tendenza è quella di comprarne (e, di conseguenza, consumarne) più del necessario. In secondo luogo tutte queste restrizioni, unite a prezzi così elevati, favoriscono la formazione del mercato nero.
Gli effetti economici, poi, sono drammatici: il monopolio statale annichilisce la concorrenza, sprecando enormi opportunità imprenditoriali e sacrificando numerosi posti di lavoro potenziali. Come sempre in questi casi a farne le spese sono soprattutto i consumatori, in particolare quelli meno abbienti (che, tra l’altro, saranno istintivamente portati a percepire l’alcool come un bene di lusso, e come tale ad esserne attratti). Basta passare un weekend a Malmö per rendersi conto di quanti siano gli svedesi che prendono il traghetto fino in Germania e tornano con la macchina strapiena di scorte. E lo stesso accade ai confini con la Danimarca e la Finlandia.
 Si potrebbe pensare che, quanto meno, il consumo di alcool si sia ridotto grazie a queste politiche. E invece è aumentato del 30% dal 1995 al 2005, con una (seppur lieve) diminuzione negli ultimi 8-10 anni, cioè proprio da quando la Svezia ha aperto le frontiere all’importazione. Una coincidenza?
Piuttosto l’ennesima dimostrazione dell’assoluta inefficacia dei sistemi monopolistici, in particolare laddove ci siano in ballo questioni etiche. Il punto è che il consumo di alcool è connaturato alla società occidentale, piaccia o meno. E l’unica strada per limitarne abusi e conseguenze problematiche è di natura culturale: libertà e consapevolezza, unite, possono fare molto più della repressione.

by: Giacomo Lev Mannheimer

Evitando che gli svedesi si trovino costretti a dover trattare con l’Al Capone di turno per poter comprare una bottiglia di vino il sabato pomeriggio.
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Attenzione

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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.